17/06/2019
Contratto di soccida e
dissimulazione di un contratto d’appalto
Non è infrequente che
l’Agenzia delle Entrate contesti un contratto di soccida, ritenendo, anche tramite
il passpartout dell’abuso del diritto,
che in realtà le parti abbiamo simulato un contratto d’appalto; con conseguente
omessa fatturazione di operazioni imponibili attive, omessa
regolarizzazione mediante autofatturazione, in violazione dell’art. 41D.P.R. n. 633/72, di
operazioni imponibili passive relative a prestazioni di servizio ricevute, la
presentazione della dichiarazione IVA contenente dati inesatti in violazione
del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28,
etc.
La
Corte di Cassazione, pur ritenendo applicabile anche in materia tributaria il
concetto di abuso di diritto, ha affermato che non è contestabile l’abuso
del diritto sulla base della sola dissimulazione contrattuale.
Il
caso posto all’attenzione della Suprema Corte (sentenza n. 24914 del 6 novembre
2013; ma anche n. 27679-80-81-82-83 dell’11 dicembre 2013) riguardava una serie
di accertamenti emessi dall’Agenzia delle Entrate ad una società cooperativa
cui veniva contestata la mancata fatturazione relativa alla cessione di
bestiame sulla base della differenza tra i capi di bestiame rinvenuti nell’azienda e quelli risultanti dalle
fatture di vendita e dalle giacenze di magazzino.
Da quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione, la
società cooperativa accertataaveva giustificato tale divergenza evidenziando
che parte dei capi di bestiame, quelli non rinvenuti in azienda, erano stati
conferiti ai soccidari e parte erano morti nel periodo oggetto di verifica;
produceva in giudizio anche i contratti di soccida da cui risultava il
quantitativo dei capi di bestiame inizialmente conferiti dalla cooperativa
soccidante, il ciclo produttivo e l’entità dell’accrescimento del bestiame da
attribuire al soccidario.
Detti contratti prevedevano la corresponsione di acconti in
denaro o in natura a favore dei soccidari sul valore dell’accrescimento del
bestiame previsto.Il numero dei
capi di bestiame, che non trovava riscontro nelle fatture emesse dalla società,
si riferiva pertanto ad operazioni non imponibili, in quanto tutte
riconducibili alla esecuzione del contratto di soccida (capi assegnati ai
soccidari o capi morti nel corso del contratto).
Nel contratto di soccida,
disciplinato dagli art. 2170 e seguenti del codice civile, non si verifica
alcun effetto traslativo della proprietà del bestiame tra soccidante e
soccidario; esso rimane di proprietà del soccidante che l’ha conferito.
Ai fini fiscali, e nello specifico degli aspetti IVA, particolare
attenzione deve essere posta alla fase di divisione del frutto della soccida.
Spesso, infatti, si assiste a una ripartizione che origina la cosiddetta soccida
monetizzata ove il soccidante provvede a cedere sul mercato l’intero
quantitativo di capi facenti parte della soccida e, in un secondo tempo,
provvede a versare al soccidario la sua parte in denaro.
In tale fattispecie“non ha diritto alla detrazione prevista dall'art. 19 del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, il soccidario per le spese sostenute per l'attività
dedotta nel rapporto associativo (nella specie, la costruzione di una
porcilaia), nel caso in cui la commercializzazione del bestiame sia stata
effettuata esclusivamente dal soccidante, ancorché il soccidario abbia
percepito gli utili conseguenti allo svolgimento del rapporto di soccida, per
il quale le parti abbiano concordato la monetizzazione degli stessi in suo
favore, non potendo equipararsi la consegna della somma di sua spettanza alla
cessione di denaro, o altro titolo di credito in denaro, come tale soggetta ad
IVA ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.
633.(cfr., n.8727/2013)”.
Nel caso posto all’attenzione degli Ermellini, l’Agenzia
delle Entrate riteneva e contestava che la natura simulata del contrattodi
soccida si potesse desumere dalla mancata stima del bestiame da
conferire,dall’assenza dell’indicazione della durata dei cicli produttivi, dal
conferimento del bestiamee dalla presenza di acconti sulla futura ripartizione
degli utili anteriormente allaconclusione dei cicli. Per l’Agenzia delle
Entrate inoltre il contratto di soccida sarebbe stato stipulato esclusivamente
al fine di conseguireun risparmio di imposta
La Corte di Cassazione ha invece chiarito che:
. deve escludersi una
equivalenza tra la nozione di "conferimento del bestiame" e quella di
"trasferimento della proprietà" dei singoli capi conferiti, venendosi a
realizzare la "comunione di scopo" che costituisce elemento tipico
del contratto associativo, non attraverso l'acquisto della comune proprietà
degli animali, ma mediante l'effettivo svolgimento di un'attività economica in
comune (inquadrabile nell'esercizio di attività agricola ex art. 2135 c.c.) volta
all'allevamento e sfruttamento degli animali, al fine di "ripartire
l'accrescimento del bestiame e gli altri prodotti ed utili che ne
derivano" (art. 2170 c.c., comma 1, artt. 2178 e 2181 c.c.);
. l’attribuzione di "acconti
sull'accrescimento", salvo
conguaglio al termine del contratto o del ciclo di accrescimento, introduce
nel contratto di soccida un elemento previsionale che, diversamente da
quanto sostenuto dalla Agenzia fiscale, non altera la funzione
economico-sociale del tipo negoziale;
. nella soccida, quale contratto a struttura
associativa qualificato dalla comunanza di scopo, la ripartizione
dell'accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili, prevista dall'art. 2170 cod. civ., rappresenta solo il normale bilanciamento
economico dei rispettivi interessi, sicchè le parti possono, nella loro autonomia,
stabilire un diverso regime senza alterare la natura associativa del rapporto.
La Corte di Cassazione, respingendo l’applicazione
indiscriminata dell’istituto dell’abuso di diritto da parte dell’Ufficio
dell’Agenzia delle Entrate, ha concluso che l’amministrazione finanziaria non può
contestare l’elusione fiscale sulla sola base del fatto che il contratto fosse
simulato. La stessa, infatti, sarebbe stata tenuta a provare che l’unico scopo
del contratto di soccida fosse l’indebito risparmio di imposta in assenza di
qualunque vantaggio economico per l’impresa dall’operazione commerciale.
Per la Suprema Corte quindi alla base dell’abuso di diritto
deve esserci sempre un accordo commerciale valido e non fraudolento o simulato.
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